Non tornare più, non
ci pensare mai a noi. Non ti voltare, non scrivere. Non ti fare
fottere dalla nostalgia, dimenticaci tutti. Se non resisti e torni
indietro non venirmi a trovare, non ti faccio entrare a casa mia.
Qualunque cosa farai, amala, come amavi la cabina del Paradiso quando
eri picciriddu. [Giuseppe Tornatore, Nuovo Cinema Paradiso].
Me lo hai scritto tu. E
come spesso accade quando dentro alle parole si cela un sentimento
condiviso, il messaggio arriva più forte, soprattutto quando è
inaspettato. Un pugno nella pancia. Bisar, perchè è un
dolore che amo, di cui continuo – testarda – ad andare in cerca.
C'ho messo un po', ma alla fine ho strappato il primo poster appeso
in camera, l'ho girato dalla parte bianca, quella che di solito
vogliamo nascondere, e c'ho gettato sopra questo mucchietto di frasi.
L'ho riappeso. Ne sono uscite altre, di frasi. Quelle stupide, nelle
quali mi rifugio per riscoprire dei brevi momenti felici. Quelle
forti, che mi fanno pensare a voi.
Non ti voltare, non
scrivere. È un dolore utile, dolore onesto. Come quando sei
sott'acqua e il male ai polmoni, per aver trattenuto troppo il
respiro, ti fa ricordare che è ora di risalire. Basta crogiolarti
nella ricerca di qualcosa di magnifico che non ti apparterrà mai, è
ora di risalire.
Odio l'autunno, odio i
pugni e odio lo scazzo. È passato questo fottuto mese e pare che
tutto debba essere fico, l'erasmus e gli amici e il tempo distante.
Se non è bello che minchia ci vai a fare, torna a casa. A casa si
sta bene, tutto il solito, solito bar, soliti studi, soliti amici.
Una sicurezza che non fa male per niente, che non colpisce
all'improvviso.
Non riesco più a dormire
la notte. Troppe idee, la testa se le accolla tutte e va di corsa e
non si ferma. Pensieri, più che idee, grigi e ingombranti. Le eureke
luminose sembrano disperse all'orizzonte. È come se tra avere fame e
averne abbastanza non esistesse più un confine, tutto si mescola in
un oceano di schifo e l'unica cosa che salva è il dolore.
Ma è un dolore onesto,
ho detto. Non quello tiranno del ricordo, non quello impalpabile dei
desideri irraggiungibili. È consapevolezza, è gioia, è un urlo che
mi tira per i piedi e mi sveglia e mi dice che sono ancora qui,
malgrado lo schifo. È una prova d'amore. Lasciarsi andare, lasciarsi
e basta. Lasciar andare lontano il ricordo per permettere al presente
di entrare. È amore. Sacrificare sé stessi per liberare quell'altra
parte, che ora non può più aspettare. È la prova d'amore più
grande di tutte.
Non so perché te lo sto
dicendo, forse solo perché io non ce la faccio a prendere decisioni,
e egoisticamente chiedo e chiedo, e questa volta ancora chiedo a te
di lasciarmi in pace e di amarmi allo stesso tempo, di fare un atto
di fede, di credermi che c'è e che meglio di così non potrebbe
essere ma che io non te lo posso dimostrare, non adesso.
Che poi non è vero, ti
scrivo perché ne ho voglia, perché voglio liberarmi di questo
macigno che ho dentro e so che con te lo posso fare, che capirai. Che
anche se le idee sono confuse tu sai quello che c'è dietro, e quindi
lo accoglierai a braccia aperte come hai fatto sempre. Che sto
scrivendo a te e in realtà vorrei dirlo a tutti. È una merda, è
dura e ne ho abbastanza. Non voglio scriverti che non ho i soldi per
mangiare, non voglio scriverti che non riesco a godermi un pomeriggio
di sole perché ho lo scazzo che brucia dentro e mi spinge a correre
intorno senza fermarmi.
Non voglio scriverti
cercando inutili aggettivi per descrivere cosa si prova quando ci si
accorge di non avere niente da dire.