venerdì 28 settembre 2012

Risposte.

Non tornare più, non ci pensare mai a noi. Non ti voltare, non scrivere. Non ti fare fottere dalla nostalgia, dimenticaci tutti. Se non resisti e torni indietro non venirmi a trovare, non ti faccio entrare a casa mia. Qualunque cosa farai, amala, come amavi la cabina del Paradiso quando eri picciriddu. [Giuseppe Tornatore, Nuovo Cinema Paradiso].

Me lo hai scritto tu. E come spesso accade quando dentro alle parole si cela un sentimento condiviso, il messaggio arriva più forte, soprattutto quando è inaspettato. Un pugno nella pancia. Bisar, perchè è un dolore che amo, di cui continuo – testarda – ad andare in cerca. C'ho messo un po', ma alla fine ho strappato il primo poster appeso in camera, l'ho girato dalla parte bianca, quella che di solito vogliamo nascondere, e c'ho gettato sopra questo mucchietto di frasi. L'ho riappeso. Ne sono uscite altre, di frasi. Quelle stupide, nelle quali mi rifugio per riscoprire dei brevi momenti felici. Quelle forti, che mi fanno pensare a voi.
Non ti voltare, non scrivere. È un dolore utile, dolore onesto. Come quando sei sott'acqua e il male ai polmoni, per aver trattenuto troppo il respiro, ti fa ricordare che è ora di risalire. Basta crogiolarti nella ricerca di qualcosa di magnifico che non ti apparterrà mai, è ora di risalire.
Odio l'autunno, odio i pugni e odio lo scazzo. È passato questo fottuto mese e pare che tutto debba essere fico, l'erasmus e gli amici e il tempo distante. Se non è bello che minchia ci vai a fare, torna a casa. A casa si sta bene, tutto il solito, solito bar, soliti studi, soliti amici. Una sicurezza che non fa male per niente, che non colpisce all'improvviso.
Non riesco più a dormire la notte. Troppe idee, la testa se le accolla tutte e va di corsa e non si ferma. Pensieri, più che idee, grigi e ingombranti. Le eureke luminose sembrano disperse all'orizzonte. È come se tra avere fame e averne abbastanza non esistesse più un confine, tutto si mescola in un oceano di schifo e l'unica cosa che salva è il dolore.
Ma è un dolore onesto, ho detto. Non quello tiranno del ricordo, non quello impalpabile dei desideri irraggiungibili. È consapevolezza, è gioia, è un urlo che mi tira per i piedi e mi sveglia e mi dice che sono ancora qui, malgrado lo schifo. È una prova d'amore. Lasciarsi andare, lasciarsi e basta. Lasciar andare lontano il ricordo per permettere al presente di entrare. È amore. Sacrificare sé stessi per liberare quell'altra parte, che ora non può più aspettare. È la prova d'amore più grande di tutte.
Non so perché te lo sto dicendo, forse solo perché io non ce la faccio a prendere decisioni, e egoisticamente chiedo e chiedo, e questa volta ancora chiedo a te di lasciarmi in pace e di amarmi allo stesso tempo, di fare un atto di fede, di credermi che c'è e che meglio di così non potrebbe essere ma che io non te lo posso dimostrare, non adesso.
Che poi non è vero, ti scrivo perché ne ho voglia, perché voglio liberarmi di questo macigno che ho dentro e so che con te lo posso fare, che capirai. Che anche se le idee sono confuse tu sai quello che c'è dietro, e quindi lo accoglierai a braccia aperte come hai fatto sempre. Che sto scrivendo a te e in realtà vorrei dirlo a tutti. È una merda, è dura e ne ho abbastanza. Non voglio scriverti che non ho i soldi per mangiare, non voglio scriverti che non riesco a godermi un pomeriggio di sole perché ho lo scazzo che brucia dentro e mi spinge a correre intorno senza fermarmi. 

Non voglio scriverti cercando inutili aggettivi per descrivere cosa si prova quando ci si accorge di non avere niente da dire.

giovedì 27 settembre 2012

Ti aspetto davanti al duomo-quale duomo?

D'accord: ok, va bene.
Camarade: compagno, collega, amico.

Saranno fascisti sti francesi.
E' strano, perchè me ne accorgo mentre sto studiando tutt'altro, l'origine dello Stato Moderno, la riscoperta del concetto greco di cittadinanza (la citoyenneté), che secondo la mia piccola prof transalpina si articola in tre momenti essenziali: vivere in una città dai confini ben preficisi; impegnarsi nella vita pubblica della propria 
città; amare la propria città. E se l'amore diventasse ossessione? 
Infondo "ordinateur" non è così male, è uno degli ultimi vessilli contro la piattezza lasciva della globalizzazione linguistica. E lo stesso vale per tutte le parole che, con orgoglio, i francesi rivendicano come unicamente proprie (vedi il dubbio renseignement, laddove circa tutto il mondo indoeuropeo usa derivati del latino informatio). Ma quando la medesima prof transalpina, dopo un mio intervento, si rivolge agli altri studenti con un "come dice la vostra camerata"..il sangue si gela nelle vene, e ci vuole un po' di coraggio, unito al mitico dizionario tascabile di francese, per riprendersi.

E ora cambio argomento se no qualcuno, di cui non dirò il nome ma solo le iniziali (di ogni lettera -> E d o a r d o) mi dice che sono noiosa-moralista.
Sono in Francia da un mese, ed è ho fatto così tante e tante cose che sembra quasi passato in fretta. Il couch surfing, la Braderie, trovare casa, il numero francese, la banca francese, gli amici erasmus, gli amici francesi, le feste, le lezioni, i crediti che non sono mai quelli giusti e il sonno che non è mai abbastanza.
E le mail strappa-lacrime degli amici di casa, le cartoline che arrivano a sorpresa a ricordarti che tutto cambia per restare com'è. E il professore di Storia della Lingua Francese che sembra un misto tra il mio prof di Filologia Romanza dell'UniBo e una scopettone di saggina. E le conversazioni in francese - da brilli - di studenti erasmus provenienti da paesi diversi: "ma tu ci capisci se noi parliamo in italiano?" "sì, per me non c'è nessun problema se fumate della ganja in casa mia".
Domani - che ormai è oggi - credo cederò (finalmente!) alla tentazione pizza. Joyeux mois-iversaire à moi!

domenica 23 settembre 2012

Trastulli serali

Senza dare ulteriori spiegazioni sul perchè non abbia niente di più interessante da fare di domenica sera, pubblico quanto leggo su Wikipedia alla voce Pokemon > Controversie e critiche > Critiche religiose:

Alcuni cristiani statunitensi credono che i Pokémon abbiano un'origine satanica. [...] le accuse fatte ai Pokémon sono state le seguenti:
  • I Pokémon si evolvono, in maniera analoga alla metamorfosi che porta un bruco a diventare una farfalla. Poiché l'evoluzione nega il creazionismo, i Pokémon negano alcune interpretazioni della Bibbia. Alcuni Pokémon necessitano inoltre di strumenti particolari, tra cui pietre "magiche", per effettuare l'evoluzione.
  • Molti Pokémon seguono e praticano concetti asiatici spirituali e mistici. Per esempio, alcuni praticano arti marziali, che per alcuni gruppi cristiani statunitensi è un passaggio che porta alle religioni pagane. Inoltre il mondo in cui è ambientato presenta le tradizioni asiatiche verso le forze degli elementi, essendo i creatori di origini giapponesi.
  • I Pokémon sono simili a demoni: possono essere catturati ed essere invocati per svolgere varie azioni (per esempio tagliare un albero, spingere una roccia o illuminare un luogo buio). [...]
  • Alcuni Pokémon possiedono poteri paranormali o psichici. Questi non derivano da dio e quindi, secondo alcune dottrine cristiane, sono poteri donati da Satana.
Inoltre secondo alcuni nella sigla originale in inglese, se viene ascoltata al contrario la frase "gotta catch 'em all" è possibile udire "I love Satan" (amo Satana) o "oh Satan". Per questo motivo alcune organizzazioni cristiane credono che i Pokémon istighino al satanismo in modo subliminale.
Il Vaticano (e qui arriva la chicca) [...]ha dichiarato che i giochi di carte e i videogiochi dei Pokémon «non hanno alcuna controindicazione morale» e «allenano i bambini alla fantasia e all'inventiva». Inoltre ha sottolineato che le storie «si basano sempre su un legame di amicizia intenso tra l'allenatore e il suo Pokémon».

A questo punto sono piegata in due dal ridere, ricontrollo dieci volte se per caso non abbia sbagliato, e sia finita invece su Nonciclopedia. E invece no, la realtà è più folle della follia. Kind of magic! 


venerdì 21 settembre 2012

La musique commence là où s'arrete le pouvoir des mots

Ryanair sta macchinando qualche piano crudele e strategico contro di me. Ha deciso improvvisamente di non vendere più biglietti per Pisa-Bologna-Treviso (del tipo, avere tante case sparse per il mondo), per lo meno non nel prossimo mese e non a prezzi inferiori ai 250 euro.
Pensiero numero 1: la Ryanair, come tante altre compagnie low cost, fedeli compagne dei viaggiatori zaino-in-spalla, è fallita. Non tornerò mai più a casa. Non vedrò mai più le facce amiche lasciate al di là delle Alpi. Non potrò più allietare le mie serate o consolare le mie angosce col Prosecco, a meno di non spendere i soldi in vino importato o in biglietti aerei proibitivi.
Pensiero numero 2: il mio karma è consapevole - al contrario di me - dell'effimero attacco di nostalgia mattutina ed è altrettanto consapevole della promessa (non espressa) di reggersi in piedi da sola che la mia forza di volontà/pulcino (pio) ha fatto alla mia testa. Donc, conoscendo tutta la trama intricata - stile Beautiful - di personalità e di forze che prende le decisioni al posto mio, ha deciso molto intelligentemente di emanare delle vibrazioni negative che potessero disturbare il già flebile segnale del wifi, impappandomi internet e mandando in tilt le richieste da me inoltrate alla suddetta Ryanair. Ha senso, in effetti. Credo sia andata così.

Quante cose non dette, a voi, al blog, alla testa e alla coscienza e al karma. Tante, davvero troppe. E ora non credo sia il caso di riassumerle tutte, in una volta... No. Perchè poi qualcosa sfuggirebbe per forza e quindi da qualcosa sarebbe il caso di ricominciare. Posso permettermi di dirvi, oggi, le cose più sensazionali dell'ultima settimana.
Io che, dopo sei ore di ricerca all'interno dell'infinito campus di Lille 3, entro nella classe C26 batimênt C (uno degli infiniti edifici di Lille 3) convinta di trovarci il traveuax individuel di Theâtre, e che invece mi accorgo, seduta e già scusata per essere entrata in ritardo, essere una lezione di Math, quando vedo intorno a me solo calcolatrici e gognometri.
Noi, mitica classe A/2-B/1 di francese, che cantiamo "A ma place", sottovoce, e io che la canto, forte, ai miei coinquilini e ai miei nuovi amici, facendomi già tacciare (alla prima settimana) come incapace a qualsiasi forma di espressione aritstica, canto primo della lista.
Voila. E corsi che inziano, e amicizie che iniziano, e storie che continuano... Ve ne parlerò con calma la prossima volta. Je vous aimes tous.

sabato 8 settembre 2012

In Francia non hanno la qwerty

Lo so, è una dura realtà, e sbatterla in faccia a voi, miei cari amici e lettori, in questa pur ridente ora del primo mattino, è quasi una tragedia. Ma sono argomenti da affrontare, non posso continuare a far finta di niente. 
Sorrido, butto un occhio alle pagine di diario che ho appena riempito con le parole di Voltaire (compagno di questi primi tempi su al nord). Cerco la frase che ho in testa: "Quelli che non viaggiano che in diligenza o in berlina si meravigliano dei mezzi di trasporto che usano lassù, perché noi, su questo piccolo mucchio di fango, non riusciamo a immaginare nulla che sia diverso dai nostri costumi."
Eviterò allora la tirata che mi ero preparata. O almeno ci proverò.

Tempi duri a Lille. Giovedì ho fatto il test di lingua all'università, da lunedì inizieranno i corsi intensivi di francese (quattro ore al giorno o.O). Tutta la gioia di poter dimostrare quante cose avessi imparato grazie alle lezioni quotidiane di Francese SenzaSforzo è svanita quando oltre agli esercizi di grammatica mi sono ritrovata a dover scrivere due temi di 200 e 500 parole ciascuno. In effetti come esperienza non è stata del tutto negativa: dal momento che (escludendo le mail inviate alla fac e alle ragazze di Couch Surfing, con l'aiuto di vocabolario e traduttore di Google) sono passati più 7 anni dall'ultima volta che ho scritto un testo in francese, diciamo che ho dato libero sfogo alla mia immaginazione e alla mia creatività linguistica. Spero che i prof sappiano apprezzare il mio spirito artistico.

E dopo aver tergiversato fino a qui, ecco la notizia della vita: HO UNA CASA! Ieri sono entrata ufficialmente nella mia camera francese! Non vi dico la gioia di svuotare le valigie, dopo settimane di aperture sbrigative, per tirare fuori solo lo stretto necessario per la giornata. L'armadio è la terza invenzione più intelligente che l'uomo ha costruito, dopo il trolley (ho benedetto più e più volte il caro monsieur Trolley quando mi sono ritrovata a dover girare con 40 kg di bagaglio) e la ruota (senza la quale, in effetti, la valise roulant non può funzionare).
Non so perché mi rende così felice sapere che ho quattro mura intorno alla testa: infondo è una sistemazione temporanea, e neanche delle migliori, visto che dovrò condividere il bagno con altre 6/8 persone.
La chiave che mi ritrovo in mano, in effetti, è un simbolo, più che una sicurezza, una frase, più che una parola sola: sono a casa. E' strana la sensazione di sentirsi a casa in posti diversi; è un po' come affermare se stessi, come inserirsi appieno in una realtà. Lille è casa mia, io, Marta Panighel, sono passata di qui e mi ci sono fermata. Sono a casa. E poco importa se rimarrò sei mesi o tutta una vita, qui la mia impronta ci sarà sempre, e lei lascerà la sua dentro di me. Casa. Riscoprirsi nelle piccole abitudini, nei passaggi obbligati di ogni giorno. Nella vita che scorre intorno, e che per un attimo rallenta, per me. Casa è Piazza Santo Stefano, casa è il Palais des Beaux Arts, casa è San Gallo.
Respiro questo istante, me lo godo, è magnifico. Più che una cosa, un luogo; più che usarlo, viverlo. Stargli vicino, creare dei ricordi comuni.

Souvenir

Scacciando la prima ripugnanza, il significato che si è fossilizzato in italiano, di oggetto che alimenta soltanto un consumismo senza volontà, penso che potrei innamorarmi di questa parola. Deriva da un verbo, venir; je me souvien, io mi ricordo. Attraverso un'azione non fisica creare qualcosa dal nulla: richiamo alla mente e ricevo in dono. Un souvenir, tutto per me.

martedì 4 settembre 2012

Attacco di nervi - parte 1

La voglia indescrivibile di fermarsi, in mezzo alla piazza, e di metteresi a urlare ma smettetelaaa si vede che siete tutti italianiii e che state solo facendo fintaaa             che vi atteggiate da erre mosce e culi sculettantiii          ma che in realtà siete pure voi dei contadiniii                          del sud del nord del centroo I TA LIAA      ma ci scommetto guardaaa     che tuo nonno era italianoo       e perchè alloooraa devi fare finta cosììì di non capireee nienteee   ma vaaa che fintoniii



lunedì 3 settembre 2012

Rihour - Hellemmes

Changer.

Quello di ieri sera è stato il primo cambio di residenza da quando sono arrivata a Lille, il primo di una (spero) breve serie di peregrinazioni da divano a divano (eterno grazie a Couch Surfing), attendendo di trovare una casa en colocation. E non è poi così facile: oltre ad avere un senso dell'igene precario, i compagni francesi (mi perdonino) se la spassano con affitti per studenti da paura.
C'est à dire, siamo nel Nord, mica a Parigi.

Come sempre cambiare è un po' strano. Per qualche clamoroso scherzo del destino pare che ci piaccia adattarci alle situazioni in cui viviamo (vorrei aggiungere "bene", ma credo non sarebbe abbastanza realistico per questo blog), dicevo, ci adattiamo perfettamente alle situazioni come il nostro sedere si adatta perfettamente a un divano morbido e accogliente. Ahimè, è difficile scollarsi di lì quando la mamma - o l'eventuale Super Io interno/esterno della situazione - comanda di alzarci. E allora cosa ci spinge a cambiare? In questo caso, il fatto che il mio periodo da ospite a casa della cara Laurene fosse finito. Ma quando l'allontanamento non è coatto, e anzi dipende da un desiderio, da un impulso interiore? Cosa genera questo movimento, questa spinta?

Come al solito i pensieri affiorano e poi scappano, e a quel punto è difficile o quasi impossibile riportali a galla. Heureusement oggi ho conosciuto i primi amici (amici!), e la rotella ha ripreso a funzionare, interrompendo per un momento il malvagio meccanismo del devi, attualmente fossilizzato sul tema "casa". La storia di S., che ci racconta di come abbia studiato per anni inseguendo il sogno di diventare professore, e che una volta avuta la cattedra di inglese ha scoperto la pur triste realtà: odia i bambini. Penso che non li odi in quanto tali, ma in quanto massa informe e urlante. Ciò in effetti non cambia le cose, e S. ha ripreso e (già) terminato gli studi: ora cerca un posto come bibliotecario.
Cosa spinge un giovane che, in questo 2012 bizzarro, riesce a trovare lavoro a cambiare, in vista di un futuro incerto? Il fatto che non si trovasse bene, mi sono detta, che odiasse quel lavoro e che fosse disposto a tutto pur di abbandonarlo.
La condizione in effetti è necessaria, ma non sufficiente. Penso a una persona sola, in questo momento, ma senza sforzarmi potrei facilmente chiamarne a rapporto molte altre. Amici che non sono soddisfatti e pur continuano una relazione, un lavoro, una facoltà. Ma fosse anche solo una strada per andare al mare o un paio di scarpe per uscire la sera, che stringono davvero troppo e potrei morire al secondo passo. Quanti?

Adesso, più che la mente le mani, sulla tastiera, corrono veloci, mi spingono verso una scoppiettante conclusione sull'amor proprio, sulla più volte ribadita necessità di volersi bene e di prendersi del tempo per sé. Troppo facile, in effetti.
Credo sia il coraggio, invece, che si merita il posto d'onore, il breve spazio che mi separa dal punto finale. Il coraggio non solo di prendere coscienza di sé, di chi siamo e di che cosa vogliamo, per il pomeriggio o per i prossimi trent'anni. Il coraggio di affrontare la realtà, e di cambiarla - sul serio - qualora ci accorgessimo che non ci piace, che non è abbastanza, che semplicemente stiamo cercando dell'altro. Molto probabilmente altrove.

E la testa torna a viaggiare....
Sul metro.

sabato 1 settembre 2012

On va acheter!


Parole che incontro e che non so:

- hebdomadaires: settimanali;

- artichaut: carciofo;

- déception: delusione.

Potrei iniziare a combinare frasi senza senso con tutte le parole nuove che incontro! O forse è meglio imparare davvero a parlare (e a capire). 

Aujourd'hui comincia la Grand Braderie! Il più grande mercato delle pulci di tutta la Francia, con tre milioni di persone che arrivano da ogni dove per vendere e comprare (menate?) a prezzi stracciati. Non vedo l'ora di scendere in strada... *.*
Promemoria: portare con sé pochi, pochissimi soldi, per non trovarsi al 20 del mese a mangiare patate e rape  cotte.

Foto scattate sta mattina alle 9 dalla mia finestra (Rue Gambetta)